L’ombra

Questi racconti di Turi Vasile sono scritti in pienezza di luce. Il vecchio io autobiografico de L’Ombra torna a essere, per le misteriose metamorfosi del destino umano, un bambino ammalato di nostomanìa, abbacinato nell’eden di una Messina che sempre risorge, come l’Araba fenice, dalle sue ceneri. Non c’è scrittore in Italia altrettanto disarmato e disarmante, ché la mano di Vasile, nel mentre scrive, anziché chiudersi, si apre, mostrando ogni linea, ogni vena. Non ci sono segreti, in questi racconti; e anche la vita fuggitiva, e il mistero della morte e del dolore, sono accettati con bonomia, con lacrime di bambino con la faccia di vecchio. I racconti di Vasile sono aperti come un ventaglio. Tutto vi è detto con pudore e sincerità: la disperazione per la moglie Silvana, chiusa nella torre della malattia; l’affanno degli anni, che hanno perso la giovanile dispnea causata dalla “lissa”, e hanno trovato l’altra dispnea, quella di chi ha il cuore malato; i tanti ricordi che risorgono intatti da un luogo che non esiste, se non nell’anima; la certezza barcollante per un Dio che solo in quanto “essere” pensabile diviene possibile. Con questo memoriale lirico e familiare, Turi Vasile scrive uno dei suoi libri più commoventi. E, nonostante in uno dei racconti più belli di questa raccolta un uomo perda la propria ombra, solo alla fine quest’uomo capirà che, senza la propria ombra, si muore per davvero. L’ombra è su di noi, e dobbiamo portarla addosso come un doppio siamese. Sono pochi gli scrittori che sanno “dialogare con le ombre” come Vasile – e, sempre, anche i morti sembrano vivi, nei suoi racconti. Aleggia sull’opera di questo scrittore un nuovo mito, quello di Margite, colui che sapeva fare tutto, ma tutto faceva male. È, chiaramente, una riconferma del grande mito dello scrittore come dilettante. Senza grancasse e senza sociologia – sorretto soltanto da una lingua tersa e immediata, da un’attitudine al sogno che lo pone al fianco dei grandi lirici greci, e da un’attenzione al quotidiano miracolosa, e all’epifanico dettaglio minimo – Vasile si riconferma uno dei nostri grandi scrittori, proprio perché raramente s’era vista così tanta luce nella disperazione, sia pure addolcita da lontani gesti perduti, e da un Dio lontano che, in certi momenti, sembra avere la stessa faccia del suo buon padre.
A.D.C.

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Descrizione

Questi racconti di Turi Vasile sono scritti in pienezza di luce. Il vecchio io autobiografico de L’Ombra torna a essere, per le misteriose metamorfosi del destino umano, un bambino ammalato di nostomanìa, abbacinato nell’eden di una Messina che sempre risorge, come l’Araba fenice, dalle sue ceneri. Non c’è scrittore in Italia altrettanto disarmato e disarmante, ché la mano di Vasile, nel mentre scrive, anziché chiudersi, si apre, mostrando ogni linea, ogni vena. Non ci sono segreti, in questi racconti; e anche la vita fuggitiva, e il mistero della morte e del dolore, sono accettati con bonomia, con lacrime di bambino con la faccia di vecchio. I racconti di Vasile sono aperti come un ventaglio. Tutto vi è detto con pudore e sincerità: la disperazione per la moglie Silvana, chiusa nella torre della malattia; l’affanno degli anni, che hanno perso la giovanile dispnea causata dalla “lissa”, e hanno trovato l’altra dispnea, quella di chi ha il cuore malato; i tanti ricordi che risorgono intatti da un luogo che non esiste, se non nell’anima; la certezza barcollante per un Dio che solo in quanto “essere” pensabile diviene possibile. Con questo memoriale lirico e familiare, Turi Vasile scrive uno dei suoi libri più commoventi. E, nonostante in uno dei racconti più belli di questa raccolta un uomo perda la propria ombra, solo alla fine quest’uomo capirà che, senza la propria ombra, si muore per davvero. L’ombra è su di noi, e dobbiamo portarla addosso come un doppio siamese. Sono pochi gli scrittori che sanno “dialogare con le ombre” come Vasile – e, sempre, anche i morti sembrano vivi, nei suoi racconti. Aleggia sull’opera di questo scrittore un nuovo mito, quello di Margite, colui che sapeva fare tutto, ma tutto faceva male. È, chiaramente, una riconferma del grande mito dello scrittore come dilettante. Senza grancasse e senza sociologia – sorretto soltanto da una lingua tersa e immediata, da un’attitudine al sogno che lo pone al fianco dei grandi lirici greci, e da un’attenzione al quotidiano miracolosa, e all’epifanico dettaglio minimo – Vasile si riconferma uno dei nostri grandi scrittori, proprio perché raramente s’era vista così tanta luce nella disperazione, sia pure addolcita da lontani gesti perduti, e da un Dio lontano che, in certi momenti, sembra avere la stessa faccia del suo buon padre.
A.D.C.

Informazioni aggiuntive

Autore
ISBN

978-88-89920-32-9

pagine

166

anno

2009

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