Hacca è una casa editrice marchigiana fondata e diretta da Francesca Chiappa. Dal 2006 pubblica recuperi del Novecento e narrativa contemporanea, proponendo titoli eterogenei ma accomunati da un’attività di ricerca che valorizza da un lato la tradizione della letteratura industriale italiana, dall’altro opere – di autori esordienti e non – nelle quali gli immaginari narrativi sono tracciati riservando un’attenzione particolare al linguaggio, spesso innovativo se non sperimentale.

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“Una scrittura capace di inaugurare un nuovo modo di nominare il mondo”

La narrativa contemporanea concentra la sua attenzione sugli attuali e potenziali immaginari che rispondono alla complessità del nostro esistere contemporaneo. Predilige il racconto dell’invisibile, la percezione del mutamento; narrazioni che sappiano scrutare, indagare, anticipare.

“Interpellare gli scrittori del Novecento per raccontare e immaginare il futuro”

La collana “Novecento.0”. Il Novecento è un secolo aureo che ha sconfinato nel nuovo millennio. Cose nuove accadono sempre, ma il Novecento non ha ancora esaurito la sua carica dirompente. Con la collana “Novecento.0”, diretta da Giuseppe Lupo, si intende stampare e ristampare quel che di novecentesco è ancora in grado di produrre visioni. Essere bifronti (guardare sia al Novecento che all’oggi, come del resto abbiamo sempre fatto, scoprendo nuove voci di qualità) è un modo che pratichiamo per non soccombere di fronte al trauma della moltiplicazione incontrollata delle pubblicazioni. Perché se tutto è letteratura, va da sé che più nulla lo è.

“La nostra è un’editoria di semina e di tempi lunghi”

La letteratura serve ancora per nominare qualcosa, per darci le parole per poter immaginare. Se non abbiamo le parole per poter dire quello che immaginiamo, non immaginiamo. Il nostro orizzonte d’immaginazione stesso risulta limitato, per cui lo scrittore serve, ancora oggi, a questo: a fornirci un repertorio di immagini e di parole che altrimenti non avremmo. Il ruolo in questo momento degli scrittori? È evidente che sia del tutto marginale, anzi, addirittura gli intellettuali vengono denigrati come tali. È come se fosse uno stato di essere lontano dalla società, dai lavoratori. E sembra troppo elitario rispetto al popolo, allo strato sociale «normale» del nostro paese. Invece agli scrittori dovremmo continuare a chiedere di immaginarci. Gli scrittori che in questo momento stanno facendo qualcosa sono quelli che stanno cercando di nominare un nuovo modo di accogliere, di farsi partecipi della realtà della migrazione: quello è l’unico spazio in cui mi sembra che si riesca ancora ad agire e si possa far sentire la propria voce.

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